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domenica 3 aprile 2016

Offendere sul web, ne risponde anche il gestore?

Siamo nella cosidetta era 2.0 ed uno dei temi più roventi ma anche uno dei fatti più ricorrenti, secondo un contorto senso di libertà di espressione, è l'attribuzione della responsabilità dei gestori dei portali internet davanti ai messaggi offensivi pubblicati on line. Il delitto di diffamazione è posto, assieme a quello di ingiuria (rispettivamente artt. 595 e 594 c.p.), a protezione del bene giuridico dell'onore, il quale viene abitualmente scisso nelle due species di onore in senso soggettivo ed onore in senso oggettivo (o reputazione). Mentre il primo è definibile come “l'idea che un soggetto ha di sé”, il secondo – che coincide con la reputazione – altro non è se non il modo in cui la collettività guarda al singolo. Il concetto giuridico amplia fortemente la tutela e, pertanto, la responsabilità dei gestori di tali portali si configura quando i commenti degli utenti assumano contenuti di odio e diventino minacce dirette per l'integrità fisica delle persone e gli stessi gestori non riescano ad adottare misure efficaci per rimuovere tempestivamente e senza preavviso i contenuti chiaramente illegali. Continua a leggere al seguente link:
http://infogratis-consulenze.blogspot.it/p/domande-e-risposte.html
 

mercoledì 25 novembre 2015

Maltrattamenti in famiglia, il ritardo della denuncia è giustificato!

La giornata contro la violenza sulle donne serve perchè è necessario arginare velocemente, se proprio non si riesce a superare, il problema. Il 66,1% dei casi riguarda violenze fisiche, il  77,1% psicologiche, il 16,1% stalking, il 32,2% violenze economiche e il 13,6% violenze sessuali. Le violenze nelle relazioni di intimità sono quelle che colpiscono maggiormente le donne perché l’82,9% degli autori di violenze sono partner o ex, i familiari sono il 9,4%, gli amici e conoscenti o colleghi di lavoro il 5,5% e gli estranei costituiscono solo il 2,2%.
 
Accadono sul tema anche cose incomprensibili: La decisione del Tribunale di Genova, che in un giudizio di separazione personale di due coniugi, ha negato alla moglie, che chiedeva dopo 24 anni di matrimonio, nel corso del quale aveva subito violenze e maltrattamenti, la separazione con addebito, sia un indennizzo sia l'assegno di mantenimento, con la motivazione che ventiquattro anni erano tanti, troppi per ribellarsi. 
La Corte di Cassazione, però, si è già pronunciata anche in merito alle ragioni che possono esserci alla base del “ritardo” con cui, a volte, vengono denunciati i maltrattamenti e quindi alla sua rilevanza, ovviamente non in questo caso di Genova.
Una donna, dopo un certo numero di anni, decide di denunciare per maltrattamenti il marito; il Tribunale assolve il marito, mentre il giudice di appello, su ricorso della sola parte civile, in riforma della sentenza di primo grado e in punto di sola responsabilità civile, condanna l'imputato al risarcimento dei danni e alle rifusione delle spese. Secondo i giudici di appello, in particolare, il ritardo con il quale la vittima si era determinata a denunciare i fatti “si poteva spiegare in ragione dell'intreccio di sentimenti contrastanti di affetto e di paura nonché della situazione di dipendenza psicologica ed economica che sovente connota i rapporti familiari”. Il marito propone ricorso per cassazione, che viene rigettato dalla Suprema Corte, che afferma che la sentenza di appello correttamente ha deciso che i comportamenti posti in essere dal ricorrente debbano sussumersi nella fattispecie dei maltrattamenti in famiglia.

Sulla “tardività” della denuncia della persona offesa, la Suprema Corte afferma che “risponde ad una condivisibile massima d'esperienza che le persone offese di reati commessi in ambito familiare siano spesso restie a rendere pubbliche le loro tristi vicende, e ciò in considerazione dell'intrecciarsi di sentimenti contrastanti, di affetto, di paura e/o risentimento, che spesso connotano le relazioni fra congiunti o di situazioni di dipendenza psicologica ed economica, che possono costituire un freno alla denuncia di maltrattamenti subiti."
 
VI Sezione Penale della Corte di Cassazione sentenza n. 43943/2015.
 
Esprimere un giudizio sul caso di Genova, senza approfondimento e conoscenza, non sarebbe giusto e sensato, preme invece sottolineare che anche i tribunali italiani non sono così arretrati da giustificare la violenza contro le donne. La civiltà di una società si basa anche su questi parametri e fortunatamente crisi o risveglio economico, in Italia si contrasta decisamente la violenza contro le donne, questa è vera giustizia e non semplice legalità.
 



una decisione del Tribunale di Genova, che in un giudizio di separazione personale di due coniugi, ha negato alla moglie, che chiedeva dopo 24 anni di matrimonio - nel corso del quale aveva subito violenze e maltrattamenti - la separazione con addebito, sia un indennizzo sia l'assegno di mantenimento, con la motivazione che ventiquattro anni erano tanti, troppi per ribellarsi: ciò significava, per i giudici di Genova, aver subito, tollerato, avallato di fatto simili condotte.
Al di là delle polemiche (anche in Parlamento) e delle forti perplessità che ha suscitato tale decisione, si segnala la sentenza n. 43943/2015 della VI Sezione Penale della Corte di Cassazione, che, naturalmente in altro ambito, si è pronunciata anche in merito alle ragioni che possono esserci alla base del “ritardo” con cui, a volte, vengono denunciati i maltrattamenti e quindi alla sua rilevanza.
Nal caso in esame, una donna, dopo un certo numero di anni, decide di denunciare per maltrattamenti il marito; il Tribunale assolve il marito dal delitto ex art. 576 c.p.p., mentre il giudice di appello, su ricorso della sola parte civile, in riforma della sentenza di primo grado e in punto di sola responsabilità civile, condanna l'imputato al risarcimento dei danni e alle rifusione delle spese.
Secondo i giudici di appello, in particolare, il ritardo con il quale la vittima si era determinata a denunciare i fatti “si poteva spiegare in ragione dell'intreccio di sentimenti contrastanti di affetto e di paura nonché della situazione di dipendenza psicologica ed economica che sovente connota i rapporti familiari”.
Il marito propone ricorso per cassazione, che viene rigettato dalla Suprema Corte, che afferma che la sentenza di appello correttamente ha deciso che i comportamenti posti in essere dal ricorrente debbano sussumersi nella fattispecie dei maltrattamenti in famiglia.
E in punto di “tardività” della denuncia della persona offesa, la Suprema Corte afferma che “risponde ad una condivisibile massima d'esperienza che le persone offese di reati commessi in ambito familiare siano spesso restie a rendere pubbliche le loro tristi vicende, e ciò in considerazione dell'intrecciarsi di sentimenti contrastanti, di affetto, di paura e/o risentimento, che spesso connotano le relazioni fra congiunti o di situazioni di dipendenza psicologica ed economica, che possono costituire un freno alla denuncia di maltrattamenti subiti.
Non è quindi inconsueto riscontrare nella prassi, sopratutto in contesti familiari consolidati o comunque connotati da legami sentimentali intensi, quella situazione emotiva – che la psicologia qualifica in termini di dipendenza affettiva – che induce una persona a ritenere che il proprio benessere dipenda da un'altra e che la induce ad accettare qualunque compromesso, piegandosi alla volontà dell'altro fino ad annullare la propria dignità....
Prosegue la Corte “..La resistenza a formalizzare una denuncia nei confronti del soggetto maltrattante può dipendere dal timore di compiere scelte tali da provocare la dissoluzione dell'unità familiare e arrecare pregiudizio di natura economica o scompensi affettivi ai figli” piuttosto che dalla paura di subire gravi reazioni aggressive da chi è aduso a violenza.
Tali situazioni, conclude la Suprema Corte, non rendono di per sé inaffidabile la narrazione delle violenze subite dal partner e la perdurante tolleranza deve essere valutata al pari di tutte le altre circostanze concrete.

© AvvocatoAndreani.it - Articolo originale: Maltrattamenti in famiglia: il ritardo della denuncia non esclude di per sé la attendibilità delle accuse

martedì 20 ottobre 2015

Errati "chissenefrega" e loro ti fregano

Cresce l'uso del digitale e dell'informatica, le minacce crescono, ma gli utenti le prendono sotto gamba. Si sottovalutano i rischi perché non si  conoscono e sono disattenti, ignoranza e superficialità sono un binomio inscidibile, questo comportamento non è affatto furbo e può portare problemi.. Kaspersky Lab, dopo aver misurato lo stato della sicurezza in rete, avverte che il 74% dei cyber navigatori è pronto a scaricare un file pericoloso sul proprio dispositivo per assenza di e-skills, dal momento che non ha le competenze che servono per riconoscere i pericoli online.
Dalla ricerca svolta da Kaspersky Lab e B2B International, risulta che il 45% dei cybernauti ha incontrato un malware negli ultimi 12 mesi: ed il 13% di questi ignoravano di  essere stati infettati.

Il test, condotto su un campione di 18.000 utenti Internet, ha saggiato la capacità degli utenti nel rilevare le minacce online: ma alla richiesta di scaricare la canzone “Yesterday” dei Beatles, solo un utente su quattro (26%) ha risposto correttamente: Beatles.Yesterday.wma. Nonostante il refuso nel nome, il file audio è segnato correttamente. Il 34% degli intervistati ha invece scelto il pericoloso file .exe. Il 14% degli intervistati avrebbe effettuato il download di uno screensaver (.scr) e il 26% avrebbe scaricato uno zip: in entrambi i casi, il pericolo sarebbe stato dietro l’angolo.


Solo il 24% degli utenti è in grado di riconoscere una pagina web autentica evitando di cadere nel phishing. Oltre metà degli intervistati (il 58%) ha segnalato siti fasulli per inserire i propri dati. Del resto, un utente su cinque (21%) scarica file da siti di varia natura.
Dall’indagine emerge anche che gli utenti pur esprimendo preoccupazione verso le minacce informatiche, archiviano sempre più informazioni personali sui propri dispositivi, e tuttavia sono disattenti.

Sale dal 30% al 31% la percentuale è disposto a inserire informazioni personali o finanziarie all’interno di siti dei quali non hanno piena fiducia, mentre il numero di utenti convinti di non essere un target per un attacco informatico passa dal 40% al 46% e la domanda finale sarebbe "MA PERCHE LO CREDETE?"

sabato 10 ottobre 2015

Upwork: talenti al lavoro


Che tipo di lavoro posso fare? Tutto ciò che può essere fatto su un computer, da web, programmazione, a mobile graphic design, può essere fatto su Upwork.
Freelance esperti possono affrontare una serie di progetti dal grande al piccolo, in squadra o individuale. Sia che abbiate bisogno di uno scrittore per mettere fuori un post di 500 parole o di una squadra a tutti gli effetti lo sviluppo di software per sostenere il vostro business, liberi professionisti esperti sono in grado di rispondere alle rischieste.

Ma come diventare il libero professionista freelance che lavora con le aziende?
Iniziare scrivendo un curriculum di lavoro chiaro e conciso ed una lettera di presentazione.
Tutto ciò che serve per iniziare è un computer, connessione a Internet e sorprendente abilità. Il passo successivo è la creazione di un profilo libero professionista per mostrare qualità, esperienza e quale business. Pensare a come presentarsi è parte del lavoro richiesto, mettere in evidenza le competenze professionali, l'esperienza, le realizzazioni, in modo propositivo è determinate in un mondo aziendale diffidente e difficile. I migliori profili sono completi e ben scritti.
UPWORK è il colosso indiscusso tra le “freelance platform” mondiali. Nata dalla fusione tra due dei maggiori protagonisti del mercato, sfoggia numeri davvero impressionanti: 10 milioni di persone che lavorano per 4 milioni di clienti registrati, guadagnando oltre un miliardo di dollari. Upwork è una piattaforma “generalista”, ossia rivolta un po' a tutti: dai creativi ai programmatori, dai contabili ai web designer, dai copywriter agli esperti di marketing. Famosa per la sua grande flessibilità e rapidità di risposta ai clienti, che possono trovare in fretta sia singoli professionisti che interi gruppi di lavoro, è un'opportunità che può sviluppare lavoro ed affari anche in Italia, dove vi è bisogno di tutto il nuovo ed anche di questo per rilanciare aziende ed economia.



 


lunedì 18 maggio 2015

Il "rischio commerciale" non è tutelato dal Codice del Consumo

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha deciso sulla responsabilità di una s.r.l. che aveva fornito una partita di materiale ad altra società produttrice, materiale impiegato nella produzione e rivelatosi poi difettoso, tanto che i clienti avevano restituito la merce.

La s.r.l. convenuta, riconoscendo parzialmente i vizi del materiale, aveva chiamato in garanzia la propria compagnia assicuratrice, difatti condannata in secondo grado per il risarcimento dei danni provocati dalla società fornitrice.

Avverso detta condanna ricorreva l'Assicurazione, eccependo la inoperatività, nel caso di specie, della polizza assicurativa, sull'assunto che essa coprisse esclusivamente i danni da prodotto difettoso ex D.Lgs 206/2005 (c.d. Codice del Consumo) e non anche la responsabilità per inadempimento contrattuale o per vizi della compravendita.

La Cassazione ha rilevato, concordando con la compagnia ricorrente, come non sia ravvisabile nell'ipotesi di specie, alcuna responsabilità da prodotto difettoso di cui al Codice del Consumo, che tutela esclusivamente il consumatore. Posto allora che la società danneggiata è stata colpita non nella qualità di utente, per l'appunto, di consumatore, bensì, nell'esercizio della sua attività economica e commerciale e sugli utili di tale attività si è ripercosso il danno, l'assicurazione ha dovuto rispondere. 

giovedì 19 marzo 2015

Info lavoro: Articolo 18 (riveduto o svenduto)

L'articolo 18 è parte integrante dello Statuto dei lavoratori, ossia la legge numero 300 del 20 maggio 1970. Nella sua forma originale, prevedeva il reintegro automatico in azienda del lavoratore licenziato senza giusta causa. Il quale aveva anche la garanzia di un risarcimento del danno, commisurato all'ultima retribuzione e calcolato su tutte le mensilità dalla data di licenziamento a quella di effettivo reintegro.
VALIDO SOPRA I 15 DIPENDENTI. Questa disciplina si applicava (ancora oggi è così) a tutti i casi in cui il datore di lavoro avesse più di 15 dipendenti nell'unità produttiva (oppure 60 dipendenti sull'intero territorio nazionale) e se il licenziamento veniva dichiarato da un giudice illegittimo, ingiustificato o discriminatorio.
In quest'ultimo caso, il lavoratore aveva diritto alla tutele previste dall'articolo 18 anche a prescindere dalle dimensioni dell'azienda.

La RIFORMA di Elsa Fornero ha modificato l'articolo 18 nel 2012, prevedendo diversi criteri di applicazione del diritto al reintegro a seconda del tipo di licenziamento, e stabilendo quattro regimi di tutela differenti: piena, attenuata, obbligatoria e obbligatoria ridotta.
TUTELA PIENA: si applica in tutti i casi di nullità del licenziamento perché giudicato discriminatorio, comminato in violazione delle tutele previste in materia di maternità o paternità, oppure negli altri casi previsti dalla legge, e nei casi in cui il licenziamento sia inefficace perché avvenuto in forma orale. Vale indipendentemente dalla dimensione dell'azienda e copre anche i dirigenti. Il giudice, dichiarando nullo il licenziamento, ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore e lo condanna al risarcimento del danno con un’indennità commisurata all’ultima retribuzione
TUTELA ATTENUATA: si applica in caso licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, illegittimo per insussistenza del fatto contestato, e in caso di allontanamento per giustificato motivo oggettivo se il fatto è manifestamente infondato. Il giudice, annullando il licenziamento, ordina il reintegro del lavoratore e condanna il datore di lavoro al pagamento del risarcimento del danno, che non può, però, superare un importo pari a 12 mensilità.
TUTELA OBBLIGATORIA: si applica in tutte le ipotesi non contemplate dalle altre tutele, se il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro. In questo caso, dichiarato risolto il rapporto lavorativo con effetto dalla data del licenziamento, il datore di lavoro è condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva, determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità.
TUTELA OBBLIGATORIA RIDOTTA: si applica quando il licenziamento risulti illegittimo per carenza di motivazione, o per inosservanza degli obblighi procedurali previsti per il licenziamento disciplinare o per giustificato motivo oggettivo. In questi casi il giudice, dichiarando il licenziamento inefficace, condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità variabile tra sei e 12 mensilità, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro.

Il JOBS ACT ha cambiato ancora: saranno reintegrati i lavoratori licenziati per motivi discriminatori, ma sarà possibile il reintegro anche per i licenziamenti disciplinari. Possibilità limitata solo ad alcune fattispecie e cercando di tipizzare il più possibile il funzionamento di questi reintegri, per ridurre al minimo la discrezionalità dei giudici. Per i licenziamenti economici che saranno considerati illegittimi resta invece solo l'indennizzo. Prossimamente, ulteriori approfondimenti.

lunedì 3 novembre 2014

Il sinistro fantasma con aumento della polizza


Fenomeno che preoccupa tutti è quello dei sinistri fantasma e, statistiche alla mano, succede sempre più spesso. Può capitare che la vostra assicurazione vi contatti addebitandovi un sinistro con un altro veicolo o, in altri casi, il consumatore noti che l’aumento della polizza assicurativa deriva da un incidente. Ma non solo. A volte, addirittura, il consumatore scopre di avere fatto un sinistro nel momento in cui gli viene inviato l’attestato di rischio. In ogni caso, ciò che fa rimbalzare dalla sedia è che quel sinistro non è mai avvenuto. Come difendersi nel caso di sinistro fantasma? Innanzitutto, entro 30 giorni dalla scoperta del sinistro, va inviata all’assicurazione raccomandata con ricevuta di ritorno in cui si dichiara di essere estranei ai fatti contestati, peraltro, se possibile, meglio allegare eventuali versioni di testimoni provante la non veridicità dell’evento, corredate da valido documento di riconoscimento. L’assicurazione è obbligata a rispondervi, entro 45 giorni dalla data di ricezione della raccomandata, altrimenti siete autorizzati a rivolgervi all’IVASS che può aprire un fascicolo e, nel caso in cui accerti comportamenti irregolari da parte della vostra compagnia assicurativa, può sanzionarla. Altro punto determinante e necessario è formulare una richiesta all’assicurazione di accesso agli atti (art. 146 C.d.A) al fine di avere informazioni, sul sinistro attribuitovi, circa la conclusione dei procedimenti di valutazione, constatazione e liquidazione dei danni. Le imprese di assicurazioni sono tenute a consentire tale accesso sia ai contraenti che ai danneggiati. E’ bene ricordare che se non ci si muove per tempo, scatta il principio del “silenzio-assenso”, per cui l’assicurazione sarebbe autorizzata a procedere al risarcimento.

Leggi tutto l'articolo: http://infogratis-consulenze.blogspot.it/p/domande-e-risposte.html 

venerdì 31 ottobre 2014

Risarcimento per buca nel manto stradale


Nel caso di buche del manto stradale per ottenere il risarcimento l’utente deve dar prova dell’alterazione della cosa, che, per le sue intrinseche caratteristiche, abbia determinato la configurazione nel caso concreto della c.d. insidia o trabocchetto, ovvero l’imprevedibilità e invisibilità di tale “alterazione” per il soggetto che, in conseguenza di detta situazione di pericolo, ha subito un danno. L’insidia, pertanto, deve avere alcuni presupposti oggettivi di gravità, insiti nell’insidia stessa, mentre dal lato soggettivo l’insidia deve essere imprevedibile ovvero non evitabile attraverso una ragionevole condotta diligente da parte dell’utente. L’Ente Pubblico, invece, per andare esente da colpe deve dimostrare il “caso fortuito”, ovvero un accadimento imprevedibile ed inevitabile, di per sé sufficiente a produrre l’evento ed estraneo alla sfera di azione del Comune custode della strada. Questo accadimento può consistere nel fatto della natura, nel fatto del terzo o nel fatto dello stesso danneggiato, purché, in questi casi, le condotte del terzo o del danneggiato abbiano costituito la causa esclusiva del danno. Il Comune deve, dunque, dare conto del fatto che il danno si è verificato per un evento non prevedibile e non superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura della cosa. E’ così sufficiente, per provare il caso fortuito, dimostrare di aver rispettato tutte le regole cautelari che si imponevano nella gestione della rete stradale. Se, nonostante l’impiego dei mezzi tecnici e l’assunzione di quelle condotte necessarie in relazione alla natura della cosa, il danno si è verificato ugualmente, deve ritenersi provato, quanto meno per presunzione logica, il caso fortuito. Il danneggiato deve, dunque, dimostrare che il danno è dipeso direttamente dall’ostacolo presente sulla carreggiata in quanto esso non era né visibile né prevedibile e, pertanto, inevitabile. Al contrario, l’ente è libero da responsabilità se dimostra la visibilità e prevedibilità del pericolo e, di conseguenza, l’esistenza di un elemento interruttivo del rapporto di causalità, quale la colpa del conducente negligente e disattento. 


sabato 25 ottobre 2014

Cosa fare in caso di sinistro stradale ???


Frequenti sono le domande che mi vengono poste nel campo dell’infortunistica stradale, tra le più singolari c’è quella di una signora la quale chiedeva se fosse giusto che le  fosse applicata la presunzione di colpa al 50% in un incidente in cui lei conduceva una bicicletta. Ebbene sì; la presunzione di colpa al 50% stabilita dall’art. 2054 del c.c. si applica anche al conducente di una bicicletta.

Se ne volete sapere di più consultate la nostra pagina L'AVVOCATO RISPONDE

http://infogratis-consulenze.blogspot.it/p/domande-e-risposte.html